‘’Pump it up’’, lo spettacolo del cuore

Ha la grandezza di un pugno, eppure è la ‘macchina’ che ci fa sopravvivere. Batte tre miliardi di volte in una vita media, pompa 750 litri di sangue al giorno per 250.000 vasi in una sola persona.

Inizia il nostro viaggio all’interno del sistema circolatorio, guida d’eccezione: la classe 3I e il suo magnetismo. ‘’Pump it up’’ è il nome del laboratorio, ‘’un viaggio intorno al cuore’’ è invece l’obiettivo.

A ritmo di battiti ci immergiamo nello spettacolo del cuore. Insieme al cervello è l’organo più importante del corpo umano, situato in prossimità della parete anteriore del torace, appena dietro lo sterno, da cui dipendono tutte le funzioni dell’apparato cardiovascolare.

 Il cuore lavora, infatti, come una pompa che provvede ininterrottamente a far circolare il sangue carico di ossigeno in tutti i distretti e tessuti.

Ma com’è fatto? Come funziona l’organo che ci tiene in vita?

‘’Bella domanda’’ abbiamo esclamato tutti. Ma la risposta ce l’abbiamo sotto il naso, proprio qui, chiusa tra le costole.

Poggia la mano sul petto. Riesci a sentire la sua musica?

A volte batte forte, altre invece quasi non lo senti. Il suo ritmo cambia spesso, ma non si ferma mai.

In un individuo adulto, il suo peso si aggira intorno ai 250-300 grammi. Le sue dimensioni sono simili a quelle del pugno di un uomo: il cuore misura 12-13 centimetri in lunghezza, 8-9 centimetri in larghezza e circa 6 centimetri di spessore.

Ma com’è possibile che qualcosa di così piccolo possieda tanta forza?

Il cuore genera l’energia necessaria a spingere il sangue nei vasi, e per questa sua funzione, utilizza primariamente la muscolatura cardiaca.

Una caratteristica bizzarra lo contraddistingue. La componente muscolare del cuore è striata. Tuttavia a differenza degli altri muscoli striati che consentono i movimenti volontari del corpo, esso è involontario. Funziona cioè in modo autonomo, grazie ad impulsi elettrici generati dalle stesse cellule che lo costituiscono.

E’ necessario quindi preservare quest’organo prezioso da qualsiasi cosa possa danneggiarlo. E tu sai come proteggerlo?

No?! Non conoscere il tuo cuore significa ignorare una parte di te stesso.

Cosa aspetti? Corri subito a rimediare, il laboratorio ‘’Pump it up’’ aspetta solo te!

                                                                               Giulia Calisse e Margherita Scalisi, 4H?

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Gli atomi al servizio della medicina: la diagnostica per immagini – Classe 4°G, Prof. B. Pruiti

In questo giorno di apertura dei laboratori del Liceo Scientifico Vitruvio Pollione di Avezzano, per la settimana scientifica, il 4°G ha deciso di soddisfare curiosità e dubbi riguardanti la diagnostica per immagini e l’uso di apparecchiature mediche che vengono usate ogni giorno.

In primis ha trattato della demografia assiale (TAC), una tecnica diagnostica che utilizza i raggi X per visualizzare dettagliatamente specifiche regioni del corpo, come il cervello e le ossa. La TAC è una procedura che solo il radiologo può eseguire e solo esso può interpretarne i risultati. Questa utilizza vari macchinari, come unità di scansione a forma di grande ciambella (Gantry), una sorgente radioattiva, un generatore e un lettino a disposizione del paziente che scorrerà all’interno della sorgente radioattiva, e infine, un sistema di registrazione dati (computer molto potente).

Grazie all’ottima qualità delle immagini, la TAC permette di studiare lo stato di salute degli organi interni, delle ossa, dei vasi sanguigni e dei linfonodi. Ma questa a cosa serve in particolare? È un valido supporto per l’individuazione di tumori, sia benigni che maligni, di malformazioni vascolari, di stati infiammatori, di metastasi o di ingrossamenti linfonodali.

Particolare è l’elevato rischio radioattivo, tanto che il dispositivo viene utilizzato solo in determinate condizioni: nei pazienti che hanno subito un trauma multiplo in più parti del corpo; per il sospetto di un tumore a un organo toracico-addominale o pelvico.

Quando un fascio di raggi x colpisce una parte del corpo, questi subiscono un’attenuazione che tanto sarà più sostanziosa tanto quanto la parte del corpo sarà densa. Grazie al fatto che i raggi X colpiscono la parte del corpo interessata in più angolazioni e che ci siano dei rilevatori specifici che captano questa differenza di attenuazione, la Tac riesce a fornire delle immagini tridimensionali.

La prima parte della procedura di Tac prevede: la risposta a un questionario relativo alla storia clinica del paziente; togliersi i vestiti per indossare un camice; privarsi di tutti gli eventuali gioielli e altri oggetti metallici; sottoporsi alla misurazione della pressione arteriosa e della temperatura corporea. Subito dopo il paziente viene posto sopra un lettino scorrevole, che servirà ad introdurlo nel Gantry. Al paziente vengono dati una coperta e dei tappi per le orecchie per attenuare l’ intenso rumore emesso dallo strumento. Normalmente la posizione da avere include l’estensione delle braccia dietro la testa. Durante la tac bisogna stare il più tempo possibile immobili in quanto anche un minimo movimento potrebbe compromettere il risultato veritiero dell’esame diagnostico.

La risonanza magnetica nucleare è una tecnica di indagine che serve per ottenere immagini dell’interno di oggetti o esseri viventi. Essa si basa su una tecnica che sfrutta l’assorbimento e la successiva riemissione di onde elettromagnetiche, cioè di radiazioni, da parte dei nuclei degli atomi, ed ha applicazioni in medicina ed in chimica.

I risultati acquisiti vengono successivamente esaminati tramite dei software appositi, capaci di ricostruire immagini tridimensionali.

La risonanza magnetica aperta è una variante della classica risonanza magnetica in cui al posto della canonica apparecchiatura cilindrica abbiamo uno strumento a forma di C che lascia maggior spazio di movimento e risulta meno “aggressivo”. La risonanza magnetica aperta va incontro alle esigenze degli individui che mal sopportano gli spazi specialmente chiusi. Ma, tuttavia, fornisce delle informazioni meno dettagliate e ciò la rende meno adatta allo studio di parti del corpo particolarmente complesse.

Successivamente i ragazzi ci hanno parlato della PET, presentata per la prima volta nell’ottobre del 1977, la quale è una metodica di diagnostica attraverso la quale è possibile individuare precocemente i tumori e di valutarne la dimensione e la localizzazione. Alla base della PET si trova il decadimento beta: se nel nucleo di un atomo sono presenti troppi protoni rispetto ai neutroni, l’atomo instabile decade attraverso l’emissione di particelle Beta positive. Un protone è convertito in neutrone più una particella Beta positiva, chiamata positrone, i quali hanno massa uguale agli elettroni, ma carica di segno opposto. Perdendo protone ed acquistando un elettrone, la massa atomica non cambia ma muta il numero atomico, il quale diminuisce di una unità.

Prima di eseguire la PET, è necessario il digiuno da cibi zuccherati da almeno sei ore, di astenersi dall’attività fisica intensa nelle ore precedenti ed è importante assumere abbondanti liquidi.

Il laboratorio è stato molto interessante. Consigliamo di vederlo proprio perché nonostante l’uso di termini tecnici, specifici del settore, è stato di forte impatto e molto utile anche per chi avrà intenzione di percorrere questa strada.

D’Agostino Carlotta, Mosca Maria, VB

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“La quarta Rivoluzione Industriale: dal Kilo al Tera Byte” Ing. Raimondo Castellucci

Oggi, durante la terza giornata della Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica, il nostro Liceo ha avuto il piacere di ospitare l’ingegner Raimondo Castellucci, relatore della conferenza intitolata: “La quarta Rivoluzione Industriale: dal Kilo al Tera Byte”. L’ingegnere, ex alunno del liceo Vitruvio Pollione, si è detto dispiaciuto aver dovuto presentare il suo intervento utilizzando la modalità del webinar, dal momento che quest’ultima oscura inevitabilmente parte dell’entusiasmo solitamente mostrato dai ragazzi e dagli ospiti in queste circostanze. Tuttavia, l’aver potuto comunque realizzare ”a distanza” la Settimana Scientifica, nonostante la situazione epidemiologica, ha offerto un importante spunto di riflessione,in quanto ha messo ulteriormente in risalto l’incredibile sviluppo che ha interessato la tecnologia negli ultimi anni: non molto tempo fa, ospitare un centinaio di persone in una classe virtuale era impensabile, mentre oggi è una cosa praticamente all’ordine del giorno grazie agli efficientissimi dispositivi che abbiamo a disposizione. Dispositivi che, tra l’altro, l’ingegner Castellucci conosce molto bene, dopo 30 anni di ricerca sulle tecnologie dei semiconduttori prima presso la Texas Instruments e poi con la Micron Technology.

Castellucci ha aperto la conferenza illustrando come prima cosa il significato dell’espressione “rivoluzione industriale”: ovvero, un momento di grande sviluppo dei mezzi tecnologici nel corso della storia, per poi proseguire spiegando come essi sono stati e sono tutt’ora in grado di modificare radicalmente la vita dell’uomo. L’ingegnere infatti, con il supporto di alcuni grafici, ha reso più che evidente il collegamento diretto che c’è tra il miglioramento tecnologico e l’aumento della qualità e dell’aspettativa di vita.

In particolare, sono da ricordare la prima rivoluzione industriale, che nel XVIII secolo comportò la diffusione della macchina a vapore, e la seconda, circa un secolo dopo, caratterizzata dall’avvento dell’energia elettrica. E’ necessario precisare, tuttavia, che anche il secolo scorso è stato scenario di una rivoluzione, questa volta di tipo digitale, la quale ha notevolmente automatizzato la produzione industriale; a partire dagli anni trenta con il matematico Alan Turing, si è formalizzato il primo calcolatore digitale, la futura “macchina di Turing”. Va detto, inoltre, che per “digitale” si intende la rappresentazione numerica della realtà analogica, effettuata tramite l’unità fondamentale del BIT (0 oppure 1, una sequenza di 8 bit costituisce un byte). 0 e 1 hanno un valore ben preciso: il primo indica un capacitore scarico e il secondo un capacitore carico; i capacitori poi rendono disponibili le proprie informazioni per mezzo dei transistor. Il circuito composto dagli elementi sopra citati viene realizzato su basi di silicio e le dimensioni minime, come ad esempio la larghezza dei capacitori, sono chiamate nodi tecnologici.

Alla base delle rappresentazioni digitali c’è, in ogni caso, l’osservazione della natura: basti pensare al codice genetico o agli alfabeti che codificano il linguaggio umano. Tuttavia, questo tipo di schematizzazione matematica della realtà non è un’invenzione recente: già nel XVII secolo Pascal aveva messo a punto il primo calcolatore meccanico, la Pascalina, considerabile come la prima tappa del lungo “percorso evolutivo” che ha portato alla nascita dei moderni dispositivi elettronici. Ad esempio, nel campo dei personal computer, si è passati dal Mark 1, il primo calcolatore elettronico prodotto nel 1944 dalla IBM del peso di 5 tonnellate, ai moderni laptop, molto più pratici e dalle prestazioni infinitamente maggiori. Similmente, anche i telefoni e le memorie digitali hanno vissuto lo stesso tipo di modifiche nel corso degli anni. Nel 1965 l’informatico Gordon Moore formulò una teoria per spiegare proprio questa evoluzione dei dispositivi elettronici; secondo la cosiddetta “legge di Moore”, di anno in anno il numero di transistor in un circuito integrato raddoppia e con essi anche capacità e velocità di funzionamento, mentre si dimezzano dimensioni e costo di produzione. La legge venne ampiamente verificata nel corso degli anni e si è dimostrata una stima decisamente accurata di quella che è stata l’evoluzione dei dispositivi tecnologici.

Ai giorni nostri è in atto una quarta rivoluzione, sempre di carattere digitale, che ha portato alla realizzazione e alla messa in commercio di dispositivi ad alta capacità di funzionamento – basti pensare che oggi circa 38 exabyte di informazioni vengono trasferiti dai nostri cellulari, smartwatch o tablet nello storage – e di piccole dimensioni, che comportano una maggiore praticità e facilità di trasporto. Tale rivoluzione non coinvolge solamente apparecchi di uso quotidiano, ma anche altre tipologie di dispositivi: elettrodomestici con la domotica, macchinari industriali per quanto riguarda le smart industries e sensori per le smart cities. L’uomo sta quindi puntando all’automazione di vari sistemi, ma ciò che conseguenze ha? Il contesto sociale nel quale sta avvenendo tale progresso, che vede la popolazione anziana in aumento rispetto al tasso di natalità, genera due correnti di pensiero: una vede nel futuro un maggior numero di opportunità mentre l’altra vede solo incognite insormontabili e molteplici rischi. In conclusione ,non esiste ancora una risposta certa, ma l’ingegner Castellucci confida nella nostra generazione affinché si trovi un  eventuale compromesso tra progresso e impatto socio-economico.

Dopo questa esauriente panoramica sul progresso tecnologico nella storia , l’ingegnere ha dato spazio alle nostre domande: dal dialogo è emersa una questione interessante concernente la legge di Moore. L’ultimo nodo tecnologico raggiunto è di 7 nm, e ci si aspetta di arrivare presto ai 5 nm. Tuttavia non è possibile continuare a dimezzare all’infinito le dimensioni, perché il minimo consentito è lo spessore di un singolo strato atomico. La legge di Moore è quindi arrivata al capolinea? E cosa succederà in futuro? L’intenzione degli informatici, attualmente, è quella di utilizzare una terza dimensione, impilando le matrici: in questo modo continuerebbe a crescere la capacità di immagazzinamento dati, pur mantenendo le dimensioni al minimo. Un’altra possibilità è quella di aggiungere anche una quarta dimensione, quella del tempo, in modo che una stessa cella immagazzini 2 bit e non più 1 solo, mostrandoli alternativamente.

Noi vitruviani siamo stati entusiasti dell’intervento dell’ing. Castellucci e, ancora affascinati dall’universo della tecnologia con cui ci ha permesso di confrontarci oggi, lo ringraziamo nuovamente per la sua partecipazione a un evento per noi così significativo come la

Settimana Scientifica. Angelica De Sanctis e Alessia Bianchini, 5I

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Conferenza “Terremoti in Appennino: storie e caratteristiche sismiche del nostro territorio”

Per dare inizio alle attività della diciassettesima edizione della Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica del nostro Liceo, alcune classi sono state impegnate nella conferenza “Terremoti in Appennino: storie e caratteristiche sismiche del nostro territorio” tenuta dal professore Antonio Moretti.

Il professore, prima di parlare della tematica centrale, ha ripercorso l’evoluzione delle conoscenze sul nostro pianeta. Inizialmente l’interno della Terra era sconosciuto: si pensava che dentro fosse puro fuoco, un fuoco che avrebbe ricordato indubbiamente l’Inferno di Dante. Nel XVI secolo si inizia a fare chiarezza e nel 1596 il geografo olandese Abraham Orthelius nota la straordinaria corrispondenza di forma tra le opposte coste dell’Oceano Atlantico. Nel Thesaurus Geographicus suggerisce che: “le Americhe sono state strappate via dall’Africa e dall’Europa da terremoti ed inondazioni”.

Nel 1858 Antonio Pellegrini-Snider, geografo olandese, disegna la prima carta palinspastica nella storia delle Scienze della Terra e ci mostra come era il nostro pianeta milioni di anni fa. Alfred Wegner formula la teoria della deriva dei continenti, per la quale esisteva un unico grande continente, detto Pangea, e circondato dalla Pantalassa, un unico grande oceano. Secondo questa teoria la Pangea cominciò a smembrarsi a causa di forze che avrebbero indicato la posizione attuale dei continenti. Una teoria che poneva le basi su delle prove geomorfologiche, paleontologiche e paleoclimatiche: le sponde dell’Africa e dell’America del Sud si potrebbero incastrare come pezzi di un unico puzzle; la presenza di rocce, fossili e resti animali sulle due sponde dell’Oceano Atlantico; depositi glaciali in zone attualmente tropicali.

Tale teoria però non spiegava quali fossero le forze che hanno provocato la rottura dei continenti. Così, ha spiegato il professore, dopo la seconda guerra mondiale, lo studio delle onde provocate dalle bombe nucleari, che si propagarono per tutto il mondo, permise di comprendere la struttura interna della Terra. E’ costituita da superfici di discontinuità (le quali vanno a rifrangere e riflettere le onde) che dividono in strati il nostro pianeta: quello superficiale della crosta rigida, chiamato litosfera e uno strato meno rigido chiamato astenosfera, cioè il mantello,  il quale è duttile, plastico e ha la capacità di deformarsi molto lentamente (si verificano in questa zona i movimenti di materiale). Con tali informazioni  il professore ha spiegato che si andò poi ad affermare che i continenti, essendo formati da rocce leggere, galleggiano sulla superficie del pianeta e vengono trasportati da questi movimenti convettivi (teoria della tettonica delle placche). Anche l’esplorazione dei fondali oceanici ha permesso di studiarne le rocce e i sedimenti, depositati da strutture vulcaniche, che sono assai più giovani rispetto a quelli presenti sulla crosta continentale. Le rocce che sono più vicine alle coste sono antiche e di tipo basaltico, perciò più pesanti. Per questo motivo tali rocce sono costrette a sprofondare liberando energia potenziale gravitazionale la quale è la causa del movimento superficiale della Terra. Quindi i continenti essendo leggeri vengono spinti dall’espansione delle zone oceaniche. In questo modo si spiegano le forze che hanno provocato la rottura della Pangea. Nella divisione di quest’ultima si creò tra i due blocchi, America del sud-Africa e nord Eurasia, un oceano chiamato Tetide.

Spostandoci in Italia, il professore ha esaminato la questione del Mar Ionio, che è il residuo dell’antico oceano Tetide in cui sono presenti sedimenti spinti dalla Calabria in continuo movimento (mentre il mare sprofonda, questo lascia spazio alla Calabria). Anche lo stesso Mar Tirreno, grazie ai suoi sedimenti ci fa dedurre che non sia più antico di 7 milioni di anni. Inoltre è in continua espansione perché nei fondali ci sono continui moti convettivi che permettono la fuoriuscita di materiali provenienti dal mantello. L’avanzamento quindi del mare ha provocato l’innalzamento degli appennini. Le diverse masse rocciose si sono accavallate, e tale movimento provoca tuttora terremoti nelle zone di attrito tra i due blocchi.

Per capire la ricorrenza dei terremoti, che sono delle rotture che liberano energia elastica e possono scorrere lateralmente o verticalmente, il professore ci ha mostrato che bisogna osservare il territorio. Ad esempio, attraverso lo studio dei licheni si può capire quando si sono susseguiti i vari sismi, oppure facendo riferimento alla storia del luogo, come con la testimonianza del 1703 del terremoto ad Arischia.

Attraverso una spiegazione esaustiva il professore, usando un linguaggio fluido e semplice, è stato in grado di mantenere alto l’interesse di noi ragazzi. Inoltre con la sua riflessione finale, usando la citazione di Galileo Galilei, ci ha rammentato di non affidarci all’opinione popolare, che la maggior parte delle volte è supportata da “chiacchiere”, ma di basarci su fatti e osservazioni scientifiche fondate su uno studio approfondito.

Quindi impariamo a pensare e riflettere ognuno con la propria testa senza farci influenzare dall’opinione di massa.

Carlotta D’Agostino e Maria Mosca, 5°B

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