Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica

Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica

Liceo Scientifico Vitruvio Pollione – Avezzano

Cause ed evidenze del cambiamento climatico globale: possibili strategie di mitigazione

“La crisi climatica è la più grande crisi che l’umanità si sia trovata ad affrontare, e se non facciamo niente ora, siamo rovinati. Ho pensato che da grande vorrò ripensare al passato e dire: ho fatto quel che potevo all’epoca e ho l’obbligo morale di fare tutto il possibile” Greta Thunberg

Queste sono le parole di una giovane attivista per il cambiamento climatico che da sempre si sente in dovere di lottare per la sua casa, la nostra casa, la Terra.

Questo è stato argomento di discussione anche nella conferenza di oggi, tenutasi con il professore di fisica dell’atmosfera e oceanografia Giovanni Pitari, che ha approfondito l’argomento della crisi climatica e ambientale.

Questo è un tema molto attuale quanto poco conosciuto. Sappiamo dell’innalzamento delle temperature, delle sue cause ed evidenze, ma conosciamo davvero i rischi che questa situazione porterà?

Il professore ha deciso di renderci partecipi di tale preoccupante tematica.

Prima di tutto, sappiamo da cosa è causata questa crisi e soprattutto come porne rimedio?

Alcuni gas presenti nell’atmosfera terrestre agiscono un po’ come delle serre: catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio.

Molti di questi gas sono presenti in natura, ma l’attività dell’uomo aumenta le concentrazioni di alcuni di essi nell’atmosfera, in particolare: l’anidride carbonica, il metano, l’ossido di azoto, i gas fluorurati.

Una delle poche vere iniziative per la salvaguardia dell’ambiente è l’accordo di Parigi del 2015 nella quale si stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con costanza per limitarlo a 1,5ºC.

Il professore inoltre ha voluto farci conoscere i Feedback che sono processi che fanno aumentare o diminuire drasticamente una fase iniziale. Quello che aumenta il riscaldamento iniziale è chiamato “feedback positivo”; quello che riduce un riscaldamento iniziale è invece un “feedback negativo”.

Un esempio di feedback positivo che il professore ha voluto illustrarci è un “classico”, ovvero quello che riguarda il ghiaccio-albedo. Infatti i ghiacci ad entrambi i poli si stanno riducendo sensibilmente, facendo sì che le acque superficiali non si mescolino con quelle profonde e ne consegue quindi un maggior immagazzinamento di energia termica nelle acque superficiali. La “catena” continua, perché meno ghiaccio vuol dire meno radiazione solare riflessa dai ghiacci, più calore assorbito dagli oceani e perciò il pianeta si riscalda in misura maggiore. Il problema dei ghiacciai è l’argomento di maggior discussione, che sta avvenendo ora ma che interesserà tutto il mondo anche nei prossimi 30 anni. La più grande paura degli scienziati ed attivisti è infatti proprio la possibilità che si inneschino meccanismi di feedback positivo in grado di rendere il cambiamento irreversibile come lo biogenico della CO2.

L’attivista Giovanni Pitari però non solo ci ha fatto aprire gli occhi e la mente verso una realtà che si deve cercare di evitare ma ci ha illustrato delle strategie di mitigazione. Ci ha spronato con ottimismo a fare del nostro meglio. Tutti noi, così come la giovane Greta Thunberg, dobbiamo sentirci in dovere di migliorare il luogo in cui viviamo e che da sempre è la “nostra casa”. Dovremmo cercare di salvaguardare le foreste, i ghiacciai, e tutto ciò che ci permette di vivere. Non si può ignorare la realtà e forse, solo quando l’uomo “affogherà” nel proprio egoismo, si accorgerà che forse avrebbe potuto fare qualcosa di più e che la concentrazioni dei gas, l’innalzamento del livello del mare e l’aumento delle temperature non erano poi cose così futili. Il professore Giovanni Pitari ci ha fatto riflettere: la nostra casa è in fiamme e noi non ce ne stiamo accorgendo.

“Se il clima fosse una grande banca, i governi ricchi l’avrebbero già salvato”.

Asia De Angelis e Sveva Concia, 4B

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“Difendersi dal virus della covid-19: vediamo come” del professore Mauro Bologna

“Listen, understand, innovate”: “ascoltare, capire, innovare”.

Da queste tre fondamentali parole, il professore Bologna, ha dato inizio alla conferenza. Ha suggerito come bisogna comportarsi. Il tema trattato è stato capire da cosa è dipeso il virus della covid-19, ma il termine “capire” significa cercare di individuare i motivi per cui il virus si è sviluppato.

Il professore, ha iniziato ad analizzare la malattia, CoV-SARS-2, iniziata nel 2019 in Cina ed in seguito diffusa come epidemia a tutto il pianeta. Ma è bene ricordare che il virus fa il virus, la pandemia la fanno gli uomini: il virus non è vita, è semplicemente un’entità che possiede potenzialità biologiche.

I virus esistono da molto tempo, ma le specie patogene sono rare; le possibilità di infettare, emergono dalla varietà delle condizioni ambientali, quali ad esempio l’affollamento.

L’uomo per limitare la diffusione del virus e ridurre i casi di malattia, dovrebbe attuare le misure più logiche per difendersi, ovvero essere consapevole, prudente e meticoloso mantenendo le distanze interpersonali (salvaguardando la vicinanza sociale, la solidarietà e l’empatia).  Ma l’uomo vuole esprimere la propria libertà creando assembramenti, però tale libertà, la si può esprimere in un altro modo in quanto non c’è né politica né limitazione di libertà.

In un secondo momento, il professore, ha fornito delle importanti parole chiavi:

In seguito, il professore, ha illustrato come ciascun intervento possiede imperfezioni: l’adozione di interventi multipli, migliora il successo della prevenzione. A tal proposito, tutti gli interventi possibili, sono stati paragonati a delle fette di formaggio denominate “Swiss Cheese”, in quanto ogni fetta presenta dei buchi provocati da “topolini” (difese bucate); alla fine di queste fette vi è l’uomo che deve essere protetto, tuttavia è l’uomo stesso ad essere il rimedio tramite il suo buon comportamento.

Attraverso l’intervento della virologa Ilaria Capua, si è capita la gravità della situazione, in quanto, ad oggi la pandemia si sta diffondendo con una velocità mai vista. Ha dimostrato che si tratta di una malattia che influenza anche l’inquinamento, pertanto non bisogna ignorarla: il covid è presente, bisogna conviverci ma è bene pensare che ogni nuvola ha in sè un arcobaleno.

Ciò significa che più si è osservanti delle misure di prevenzione meno il virus circola. In tal modo si porrà fine alla pandemia: il migliore vaccino è l’uomo con la sua prudenza, disciplina e meditazione.

“Noi ci siamo stancati del coronavirus, ma lui non si è stancato di noi”.

Alessia Babbo e Comfort Di Genova, 4B

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Conferenza “Terremoti in Appennino: storie e caratteristiche sismiche del nostro territorio”

Per dare inizio alle attività della diciassettesima edizione della Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica del nostro Liceo, alcune classi sono state impegnate nella conferenza “Terremoti in Appennino: storie e caratteristiche sismiche del nostro territorio” tenuta dal professore Antonio Moretti.

Il professore, prima di parlare della tematica centrale, ha ripercorso l’evoluzione delle conoscenze sul nostro pianeta. Inizialmente l’interno della Terra era sconosciuto: si pensava che dentro fosse puro fuoco, un fuoco che avrebbe ricordato indubbiamente l’Inferno di Dante. Nel XVI secolo si inizia a fare chiarezza e nel 1596 il geografo olandese Abraham Orthelius nota la straordinaria corrispondenza di forma tra le opposte coste dell’Oceano Atlantico. Nel Thesaurus Geographicus suggerisce che: “le Americhe sono state strappate via dall’Africa e dall’Europa da terremoti ed inondazioni”.

Nel 1858 Antonio Pellegrini-Snider, geografo olandese, disegna la prima carta palinspastica nella storia delle Scienze della Terra e ci mostra come era il nostro pianeta milioni di anni fa. Alfred Wegner formula la teoria della deriva dei continenti, per la quale esisteva un unico grande continente, detto Pangea, e circondato dalla Pantalassa, un unico grande oceano. Secondo questa teoria la Pangea cominciò a smembrarsi a causa di forze che avrebbero indicato la posizione attuale dei continenti. Una teoria che poneva le basi su delle prove geomorfologiche, paleontologiche e paleoclimatiche: le sponde dell’Africa e dell’America del Sud si potrebbero incastrare come pezzi di un unico puzzle; la presenza di rocce, fossili e resti animali sulle due sponde dell’Oceano Atlantico; depositi glaciali in zone attualmente tropicali.

Tale teoria però non spiegava quali fossero le forze che hanno provocato la rottura dei continenti. Così, ha spiegato il professore, dopo la seconda guerra mondiale, lo studio delle onde provocate dalle bombe nucleari, che si propagarono per tutto il mondo, permise di comprendere la struttura interna della Terra. E’ costituita da superfici di discontinuità (le quali vanno a rifrangere e riflettere le onde) che dividono in strati il nostro pianeta: quello superficiale della crosta rigida, chiamato litosfera e uno strato meno rigido chiamato astenosfera, cioè il mantello,  il quale è duttile, plastico e ha la capacità di deformarsi molto lentamente (si verificano in questa zona i movimenti di materiale). Con tali informazioni  il professore ha spiegato che si andò poi ad affermare che i continenti, essendo formati da rocce leggere, galleggiano sulla superficie del pianeta e vengono trasportati da questi movimenti convettivi (teoria della tettonica delle placche). Anche l’esplorazione dei fondali oceanici ha permesso di studiarne le rocce e i sedimenti, depositati da strutture vulcaniche, che sono assai più giovani rispetto a quelli presenti sulla crosta continentale. Le rocce che sono più vicine alle coste sono antiche e di tipo basaltico, perciò più pesanti. Per questo motivo tali rocce sono costrette a sprofondare liberando energia potenziale gravitazionale la quale è la causa del movimento superficiale della Terra. Quindi i continenti essendo leggeri vengono spinti dall’espansione delle zone oceaniche. In questo modo si spiegano le forze che hanno provocato la rottura della Pangea. Nella divisione di quest’ultima si creò tra i due blocchi, America del sud-Africa e nord Eurasia, un oceano chiamato Tetide.

Spostandoci in Italia, il professore ha esaminato la questione del Mar Ionio, che è il residuo dell’antico oceano Tetide in cui sono presenti sedimenti spinti dalla Calabria in continuo movimento (mentre il mare sprofonda, questo lascia spazio alla Calabria). Anche lo stesso Mar Tirreno, grazie ai suoi sedimenti ci fa dedurre che non sia più antico di 7 milioni di anni. Inoltre è in continua espansione perché nei fondali ci sono continui moti convettivi che permettono la fuoriuscita di materiali provenienti dal mantello. L’avanzamento quindi del mare ha provocato l’innalzamento degli appennini. Le diverse masse rocciose si sono accavallate, e tale movimento provoca tuttora terremoti nelle zone di attrito tra i due blocchi.

Per capire la ricorrenza dei terremoti, che sono delle rotture che liberano energia elastica e possono scorrere lateralmente o verticalmente, il professore ci ha mostrato che bisogna osservare il territorio. Ad esempio, attraverso lo studio dei licheni si può capire quando si sono susseguiti i vari sismi, oppure facendo riferimento alla storia del luogo, come con la testimonianza del 1703 del terremoto ad Arischia.

Attraverso una spiegazione esaustiva il professore, usando un linguaggio fluido e semplice, è stato in grado di mantenere alto l’interesse di noi ragazzi. Inoltre con la sua riflessione finale, usando la citazione di Galileo Galilei, ci ha rammentato di non affidarci all’opinione popolare, che la maggior parte delle volte è supportata da “chiacchiere”, ma di basarci su fatti e osservazioni scientifiche fondate su uno studio approfondito.

Quindi impariamo a pensare e riflettere ognuno con la propria testa senza farci influenzare dall’opinione di massa.

Carlotta D’Agostino e Maria Mosca, 5°B

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‘’Alla caccia dei buchi neri con le onde gravitazionali’’ con la Dottoressa Catalina Corceanu

E’ l’8 marzo 2021, sono le undici e ventinove minuti. Mancano solo sessanta secondi all’inizio della conferenza. Nel giorno dedicato alla donna, sarà proprio lei, la Dottoressa Catalina Corceanu, a guidarci in un mondo tutto nuovo, una parte della fisica ignota ed enigmatica.

Lei, una donna, è primo ricercatore dei laboratori nucleari di Frascati, presso i quali conduce studi sulla natura dei buchi neri. Ma cosa sono? Perché destano tanto fascino? Cos’hanno a che fare con la fisica moderna?

Con una breve digressione la studiosa Catalina Corcenau illustra i pilastri della fisica moderna: la teoria della relatività e la meccanica quantistica, principi sui quali si ergono anche tutti gli studi sui buchi neri.

Sono infatti proprio loro, i buchi neri, l’argomento principe di questa conferenza. Il mistero riguardante tali fenomeni tormenta la scienza da secoli. Fu proprio Albert Einstein, il celeberrimo fisico tedesco di fine ‘800, il primo ad interrogarsi sulla natura dei buchi neri. Oggi possiamo vederli, fino a due anni fa non eravamo stati in grado neppure di percepirli. La Teoria della relatività di Einstein è stato il momento in cui abbiamo iniziato ad immaginare i buchi neri. Cento anni fa, nel 1919, guardando una foto simile a quella che sta facendo il giro del mondo oggi, lo scienziato tedesco capì che aveva ragione sul punto fondamentale espresso nella sua teoria della relatività gravitazionale, ovvero: la gravità è la manifestazione della curvatura dello spazio-tempo.

 La foto che confermò la sua idea era quella di un’eclissi di Sole, in cui si vedevano le stelle sullo sfondo in una posizione diversa dal previsto: la loro luce era stata piegata dal campo gravitazionale del Sole.  La materia quindi,  deforma la geometria dello spazio e del tempo. Un secolo dopo, anche gli astrofisici che per la prima volta hanno ammirato l’immagine di un buco nero hanno pensato, e detto, la stessa cosa: aveva ragione Einstein.

Ma come appaiono questi fenomeni? Riesci ad immaginarli? Agli occhi di un osservatore esterno la luce intorno al buco nero appare distorta e ricurva su sé stessa. Il centro del buco nero è invece invisibile dall’esterno e appare come un cerchio nero o una sfera scura, non potendo fuoriuscire la luce dall’interno.

E tu, se ne avessi la possibilità, ti lanceresti in buco nero grande oppure in uno piccolo? Pensa alla riposta, ma non dirla subito… prenditi il tuo tempo.

Allora sei pronto a scoprire la scelta più conveniente, quella che potrebbe salvarti la vita? Lo prendiamo per un sì! Un aiutino?

Beh, non è una buona idea lanciarsi in un buco nero piccolo e sai il perché? Perché l’attrazione gravitazionale al bordo del buco nero è inversamente proporzionale alla sua massa. Quindi massa più piccola è sinonimo di gravità estrema, la quale porterebbe al fenomeno della ‘’spaghettification’’.

Lanciandoti invece in un buco nero ‘grande’ incontreresti una gravità innocua. La densità media del buco nero in questione sarebbe infatti pari alla densità dell’aria.

Nel momento in cui si entra materialmente all’interno di un buco nero, due sono infatti le ipotesi più comuni: morire schiacciati dalla gravità, oppure viaggiare illesi da un punto all’altro dell’universo. Come affermava infatti Stephen Hawking ‘’i buchi neri sono portali per altri mondi. Se finite in un buco nero non datevi per vinti: dev’esserci un’uscita’’.

‘’Potremmo trovarci tutti in un buco nero super massiccio senza averne consapevolezza’’ afferma la ricercatrice Catalina Corceanu presentandoci una delle più bizzarre ipotesi. Cosa potrebbe accadere se così fosse? Fortunatamente alla scienza rimane ancora molto da scoprire e forse potresti essere proprio tu ,un giorno, a trovare le risposte a tutte queste domande!

                                                                                                              Giulia Calisse e Margherita Scalisi, 4H

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